Per fotografare bisogna saper correre.
di Paolo Doni
Fotografie di Alessandro Castellano, Emilio Senesi e Massimo Boninsegna
Per fotografare bisogna saper correre.
Lasciare ogni cosa che si stava facendo, compreso quel bel caffè fumante appena portato in tavola, afferrare la macchina, precipitarsi fuori dal rifugio, tra la nebbia che concede una finestra di tregua e i gracchi a caccia di qualche raggio di sole, correre su e giù per la cresta del Lagazuoi, a tremila metri di quota, aguzzare la vista facendo fondo alle ormai scarse, scarsissime risorse di ossigeno rimaste in circolazione e poi eccola lì, la grande parete delle Conturines, che si svela come su un palcoscenico.
A quel punto lo scatto vien da sé, come l’ultimo passo di un cammino, meglio, di una corsa: è il gesto di un innamorato.
Sul Lagazuoi e al lago di Limedes, nei due giorni di luci (poche ma preziose) e ombre (solo atmosferiche, intendiamoci), ho imparato che per fotografare bisogna anche vivere l’attesa.
L’attesa non è tempo sprecato, perché permette di provare pendenze, angolature, di prevedere gli ostacoli, di calcolare i tempi. E anche di vivere il cambiamento che accompagna il tragitto del sole: i colori che cambiano, le ombre che si allungano, i giochi di luce tra le nuvole naviganti, il vento che si alza e che porta il suo carico di umidità sulle rive del lago.
Così, quando è arrivata l’ora giusta, eravamo già pronti,come una piccola pattuglia di esploratori, armati di cavalletti, macchine, obiettivi, tra larici, pini mughi, distese di eriche, vecchie radici, termitai. Attorno a noi, le cornici del Nuvolau, della Tofana di Rozes, del Lagazuoi assediate dalle nuvole. Più in alto, nel blu profondo, la falce di luna. Come essere dentro un quadro romantico.
Che spettacolo le nostre piccole tende colorate immerse nel grande circo delle Dolomiti. E’ stata forse l’immagine più bella di tutto il weekend. E forse anche la più significativa, perché restituisce la misura di quanto siamo piccoli di fronte all’immensità della natura. Però ci dice anche che ci siamo anche noi, siamo lì dentro, e quella meraviglia è lì, in un certo senso, anche per noi, proprio per noi.
Basta saperla cogliere. Magari con una corsa a perdifiato, oppure strisciando per terra per far stare nell’inquadratura il fiore in primo piano e sullo sfondo il laghetto con la parete di roccia, oppure aspettando per qualche ora una lama di luce. Niente è sprecato, niente è di troppo. Basta farsi un po’ più piccoli: l’incanto è lì che ci aspetta, appena un passo più in là.
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