Etica nella fotografia di reportage: Mentire con una didascalia.
Lewis Hine diceva: “la fotografia non sa mentire, ma i bugiardi sanno fotografare”. Forse avrete sicuramente già letto di questo argomento. In questo spazio non ne ho mai parlato, colpa della fotografia che vedete qui sotto, vincitrice del Hamdan International Photography Award (HIPA), uno dei concorsi più prestigiosi al mondo (primo premio 120.000 dollari).
Il concorso ha premiato questo scatto del malese Edwin Ong Wee Kee con una foto scattata in Vietnam di una mamma con due figli.
Il tema di quest’anno dell’HIPA era “hope”, molto foto hanno incluso dimostranti per i diritti dei rifugiati palestinesi e cacciatori di aquile kazaki in Mongolia. Un tema tipico della fotografia di reportage.
La didascalia della foto vincitrice cita: “I sentimenti di una madre vietnamita il cui disturbo del linguaggio non le ha impedito di sentirsi speranzosa ed evocare un senso di forza per i suoi figli”. Un messaggio molto forte, in una fotografia ben composta di ritratto con uno sfondo curato. Partendo dal presupposto che il concorso non vieta immagini “costruite”, la didascalia pare indicare che l’immagine sia stata realizzata in strada e in modo spontaneo.
Dopo qualche giorno appare su internet questa foto (fonte “The Sun”) dove si vede l’autore insieme ad un gruppo di altri fotografi scattare l’immagine premiata. E’ piuttosto chiaro che l’immagine proposta è stata scattata in una situazione controllata e in posa. Dove sta il problema?
Rispetto al concorso nessuno, l’immagine è ammissibile da regolamento, però viene da chiedersi perché pubblicare una didascalia che fa intendere tutt’altro rispetto alla realtà della situazione?
Proporrei per questo scatto una didascalia diversa: “La sensazione di una madre vietnamita assalita da un gruppo di scortesi fotografi che probabilmente non si sono preoccupati di chiederle della sua storia di vita. Il suo viso evoca un senso di sentirsi davvero a disagio “.
Effettivamente pare più interessante a livello di reportage il backstage di questo scatto, ovvero come in molti luoghi, molte persone amano viaggiare per fare fotografie a tutti i costi, anche quello di mettere in scena situazioni sociali che in realtà non sono veramente apparse davanti a loro. Uno scatto come quello che è stato premiato può creare molti emuli che vorranno viaggiare in Vietnam del Nord per mettere in scena un’altra donna “dall’aspetto povero” con in braccio un bambino e probabilmente pagando per fare questo.
Lo stai facendo per la fotografia o per la fama?
Viene da chiedersi quanti fotografi che partecipano a questi concorsi siano davvero appassionati di quest’arte oppure siano più propensi alla ricerca di una fama a tutti i costi.
Il tipo di gare fotografiche che vediamo oggi sembrano più sistemi per fare soldi e grandi archivi da parte degli editori. I fotografi spesso non vengono giudicati da persone che conoscono il Mondo e la fotografia. I giurati assegnano premi a immagini che pensano siano belle ma in realtà sono immagini noiose, spesso copie di immagini che sono state già proposte. Un fotografo di reportage professionista lo sa, le giurie di queste competizioni no.
Quello che stiamo osservando in molti concorsi è lo specchio della società del XXI secolo, quello del “Sono io, io, io” e “adesso, ora, subito” si finisce per osservare queste aberrazioni dove si cerca di spettacolarizzare ciò che non lo è, caricando di sensi e motivi una didascalia in riferimento ad una foto che nella realtà è tutt’altro.
Mettere in scena una situazione per vincere una competizione è un po come accorciare le distanze con un trucco. Può essere facile in un paese come il Vietnam costruire situazioni come quella che vediamo e farla sembrare una fotografia di reportage. Una buona scorciatoia per ottenere fama, senza lavorare sodo. Sappiamo tutti che una volta vinto un concorso del genere, potrà piovere denaro oltre entrare nella ricercata cerchia dei fotografi del National Geographic per i loro incarichi esotici in tutto il mondo.
Perché stai facendo una fotografia?
Con una polemica come questa viene da chiedersi, perché la maggior parte delle persone fa delle fotografie?
Ai fotografi piace davvero la fotografia o semplicemente si vuole diventare un famosi fotografi?
Le fotografie di questi fotografi, avranno mai qualche influenza sulle persone?
Credo che questa evoluzione della fotografia, specie nei concorsi stia portando al vero impoverimento della creatività. Non si fa altro che copiare immagini “da concorso”, altri fotografi diventati famosi. La creatività non si crea nel cercare di diventare famosi e acchiappare tanti like.

Repubblica Dominicana: Ragazzi si divertono in un canale | 2012 ©
La creatività viene dalla pratica, bisogna fotografare e studiare, lavorando sodo su noi stessi, fallendo, fallendo di nuovo, sentendosi il peggior fotografo e tornando indietro. Ci vogliono anni per trovare un progetto, un modo, uno stile, una maniera per raccontare il Mondo attraverso le immagini. Chi ama davvero fotografare, studia, si impegna e non conosce scorciatoie.

Borneo: Due bambini si divertono con il sottoscritto a fare il bagno nel fiume vicino al villaggio ©
Un consiglio a chi ama davvero raccontare il Mondo attraverso la fotografia. Seguite il vostro istinto, ciò che vi piace e vi interessa, non guardate gli altri. Comprendete la fotografia, come la grammatica, fatela vostra e poi andate in giro e raccontate. Cercate veri viaggi, affiancatevi a fotografi che viaggiano e raccontano, non a fotografi che sembrano più dei tour leader per turisti. Un buon fotografo tour leader non può garantirvi di “portare a casa” lo scatto da concorso, quello dipende dal vostro impegno, però sicuramente sa portarvi nel posto giusto nel momento opportuno.

Un cavatore nella cava di Zoldo del vulcano Ijen © Mirko Sotgiu
Non ultimo, studiate, studiate, sbagliate, sbagliate, se mai vincerete qualcosa sarà meritato.
Mirko Sotgiu
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